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28 settembre 2015
Sardegna No Triv? Si, grazie
Il voto della Sardegna, decisivo per avviare le procedure per il referendum contro le trivelle, è un grande successo politico del Pd. Anzi sarebbe. Il voto del consiglio regionale, voluto dal presidente Gianfranco Ganau, arriva dopo che l’assessore all’Ambiente, Donatella Spano, era riuscita inserire un correttivo al «Salva Italia» per restituire alle regioni a statuto speciale, come la Sardegna appunto, il diritto a legiferare sulle trivelle.


Decisivo è stato il voto della regione Sardegna, il 23 di settembre, per consentire la prossima e inevitabile proclamazione di un referendum abrogativo delle nome del decreto Sblocca Italia a favore della trivellazione del Mare Nostrum. La costituzione infatti prevede che si possa ricorrere alle urne per cancellare una legge se almeno cinque consigli regionali ne fanno richiesta con un esplicito voto. Così dopo quello delle Marche, del Molise, della Puglia e della Basilicata è arrivato il voto di Cagliari a completare la rosa referendaria. Poi si è aggiunto l’Abruzzo e intanto si aspetta il voto del Veneto, della Campania, della Calabria, della Liguria e dell’Umbria… Insomma la Sardegna con tutta probabilità non sarebbe stata indispensabile. Ma che sia stata decisiva è un dato politico su cui ragionare. Prima di tutto per capire come funziona il consenso che ha portato il Pd di Renzi a insediarsi al primo posto delle preferenze reali, nel caso delle passate elezioni europee ma anche delle ultime regionali, e quelle virtuali rilevate dai sondaggi di opinione. Il Pd, seppure con un visibile calo di voti rispetto alla vetta del 40 per cento, sebbene Cinquestelle sia in risalita dopo la riscoperta grillina della televisione, a dispetto del grande movimento della Lega Nord guidata da Salvini, ha ormai consolidato al primo posto il suo bacino elettorale.

E il consenso per la figura del capo, Matteo Renzi, sembra inattaccabile… Ma a questo punto è inevitabile la domanda: da dove viene questo consenso? La risposta non sarà facile. Fino a oggi, soprattutto ora che si profila un passaggio definitivo della legge di riforma costituzionale con il consenso dell’opposizione, bisogna constatare che è il Pd che deve molto a Renzi. L’azione tambureggiante del governo ha fatto diventare il Pd un partito nuovo capace è vero di dividersi ma anche di unirsi. Le scorie del dissenso interno vengono metabolizzate da un nuovo sistema partito. Non sappiamo se la mutazione in atto ci darà un nuovo Pd capace di rifondare un nuova sinistra senza per questo rimanere vittima del conservatorismo politico della vecchia sinistra. Sul territorio infatti il Pd non ha ancora trovato un nuovo modello. Così capita che il partito di Renzi si trovi schierato contro il governo di Renzi. È quello che è successo con il voto contro le trivellazioni.

Se ci si sintonizza sulla lunghezza d’onda dei social si scopre molto presto che il problema della difesa del territorio viene sentito nel profondo del voto progressista. Che si vinca il referendum poco importa. Anzi è molto probabile che se ne esca sconfitti. Eppure è una battaglia che vale la pena di essere combattuta. Ecco perché sono ben 8 mila le firme raccolte in Sardegna (37 mila in tutta Italia, più del 20 per cento) consegnate ieri al presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau, dai delegati di "Mare Vivo Sardegna" in rappresentanza delle associazioni ambientaliste "No Triv". Ha commentato Ganau: «Il 30 settembre depositeremo i quesiti referendari presso l'Ufficio centrale della Corte di Cassazione insieme alle altre Regioni che come la Sardegna hanno sottoposto alle rispettive assemblee elettive il ricorso al referendum, così come stabilito all'unanimità lo scorso 11 settembre dall'Assemblea plenaria della conferenza dei presidenti dei Consigli regionali. L'obiettivo è quello di riaprire un confronto e una trattativa con lo Stato per una rivisitazione di alcune delle norme contenute nello Sblocca Italia e nel Decreto Sviluppo, norme che di fatto andrebbero ad accentrare a livello statale scelte e decisioni che sono proprie delle comunità regionali, esercitando così sino in fondo il ruolo istituzionale delle assemblee legislative».

Alla celebrazione della fase aurorale del rito referendario ha partecipato anche Francesco Pigliaru. In fondo un renziano, che nel partito italiano trovò la legittimazione del potere sardo. Ecco allora che le voci di dentro diffondo una vulgata diversa anzi contraria: Pigliaru non sarebbe stato per niente contento di quel voto. Furibonda vicino a lui l’assessore all’Ambiente, Donatella Spanu, che dopo mesi di lavoro sarebbe riuscita a chiudere la trattativa col governo, facendo inserire nel dispositivo di legge, il primato delle regioni a statuto speciale, come la Sardegna appunto, per tutte le decisioni che riguardano le trivelle. Insomma la Sardegna avrebbe potuto fare autonomamente le sue leggi senza bisogno di nessuna abrogazione. Sarebbe stato Ganau a forzare la mano in consiglio rompendo le uova nel paniere della giunta. Tornare indietro sarà molto difficile. Sarebbe come se Pigliaru e Spano si schierassero a favore delle trivelle. La battaglia referendaria sarà defatigante e i rischi di una sconfitta cocente sono chiari a tutti. A Renzi come a Pigliaru e anche a Ganau. E anche alle associazioni ambientalistiche! A questo punto nel risiko della politica si apre una nuova partita: mettere insieme con una nuova trattativa tutta da inventare le ragioni del rilancio economico del paese perseguite da Renzi con le ragioni ambientali rappresentate dall’opinione pubblica nelle regioni. Difficile. Non impossibile.
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