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1 dicembre 2014
Contro la xenofobia, proviamo a parlare di «zingari»
Nello stesso giorno in cui i fascisti di «Casa Pound» impedivano ai figli di nomadi di una periferia romana di andare a scuola, Guido Ceronetti, un poeta, sulla prima pagina di Repubblica, proponeva di restituire alle comunità dei nomadi impropriamente chiamati «rom» il bel nome italiano che li definisce «zingari»… E allora proviamo a parlare di zingari, come antidoto alla xenofobia, cercando di conciliare i doveri di assistenza con il principio di legalità


La notizia che fa cronaca: a Roma i fascisti di «Casa Pound», con un corteo xenofobo del «Blocco Studentesco» hanno impedito ad alcuni bambini del campo nomadi di via Cesare Lombroso di andare a scuola. Pound era un poeta. Filofascista mussoliniano e antisemita. Finì in prigione e in manicomio nel dopoguerra. Piace per questo alla destra giovanile che si è appropriata della sua eredita politica facendo dimenticare la sua potenza poetica. E grande è stato giustamente lo sdegno di tutta la Roma progressista. La poesia che fa notizia: anche Guido Ceronetti è un poeta, infatti. Poeta quando traduce il Cantico dei Cantici dalla Bibbia, poeta quando mette in scena il suo teatro di marionette, poeta in versi e in prosa. Erudito raffinato, scrittore sofisticato, pensa che l’idea della modernità e del progresso sia una sindrome che sta distruggendo il nostro tempo. Un po’ lo pensava anche Pier Paolo Pasolini cantore di un mondo passato e perduto…

C’è in lui un’attrazione per l’autenticità della vita di un tempo, per la ricerca di una genuinità sociale sconfitta dalla globalizzazione dei moderni modelli di vita… «Sono poeta, sparo poesia» dice il titolo del suo ultimo libro in versi pubblicato da Einaudi. Come uno sparo nel mezzo di un concerto, l’articolo di venerdì 28 novembre, sulle pagine della «progressista» Repubblica ha risuonato al di là delle sofisticate cerchie dei suoi lettori. Deve esserci stato un cortocircuito fra il «politicamente corretto» e il «sentimento collettivo» se Guido Ceronetti ha potuto lanciare una proposta indicibile per la cultura del «politicamente corretto»: restituire alle comunità dei nomadi impropriamente chiamati «rom» il bel nome italiano che li definisce «zingari»… Con gli zingari Ceronetti rivendica un rapporto del tutto speciale, si definisce perciò «ziganologo» con un impegno «dilettante» nel senso che «ci prendeva gusto nel farlo».

Ricorda di aver seguito gli zingari in una memorabile inchiesta giovanile sulle loro macchine americane del dopoguerra… Traspare una solida empatia con il mondo dei nomadi quando Ceronetti spiega: «Posso ziganeggiare a lungo, rivoltando letture e memorie, e provare che il termine Rom, volendo designare una comunità zingara, è del tutto inutilizzabile. È improprio e di uso limitato nella loro stessa lingua». E il lettore rimane abbagliato nel gioco di rimandi filologici fra «tzigani» e «cingani»… anzi quasi disarmato ormai quando Ceronetti prende a esempio uno dei più straordinari quadri di Caravaggio, «La buona ventura»: una «giovane strega zingara legge la mano di un cavaliere e «mentre lo chiromanteggia», con l’altra «stacca dolcemente la borsa piena di scudi d’oro dalla giubba». Come una ventata la frase successiva, con sincero realismo, scompiglia buoni sentimenti e radicate convinzioni progressiste: «Pretendere che zingari e zingare non rubino è come volere che un’ape, posandosi sulla tua palpebra, non ti faccia vedere il Planetario».

Per spiegare, Ceronetti, con pochi tratti ne da una dimensione storica individuando la frattura sociale nelle dinamiche distruttive della modernità collettiva: «La spaventosa strage mondiale di mestieri ereditari, oggi con pochi superstiti ha tolto agli tzigani sedentari i redditi più onesti (calderai, ramaioli, impagliasedie, maniscalchi, fabbri di forgia, lustrascarpe, aurari o setacciatori d’oro) e accresciuto il numero dei nomadi, dediti alle attività illegali».
L’accostamento fra l’empatia del poeta Ceronetti e la xenofobia dei fascisti di CasaPound suona indigesta. Se perciò ci siamo arrischiati su un terreno così infido è perché la «questione zingari», per restituire loro il nome perduto e deformato dal dispregio sociale, ha bisogno di un grado zero di razionalità, per poterla scomporre e osservare in tutte le sue implicazioni, storiche culturali e sociali.

Ascoltando su Radiotre la trasmissione “Prima Pagina”, qualche giorno fa, condotta per tutta la settimana appena trascorsa da Gian Antonio Stella, lo scopritore della «Casta» e delle sue malefatte, un’ascoltatrice ha esposto in un unico ragionamento tutte le contraddizioni in cui si dibatte chi si trovi a contatto con il vissuto di un insediamento di nomadi: il disagio umano nel quale si dibattono insieme zingari e abitanti delle periferie urbane che li subiscono non può essere scaricato sulle vittime che inevitabilmente finiscono per combattersi, a dispetto delle inclinazioni ideali e della predisposizione politica e culturale alla comprensione sociale, delle convinzioni sinceramente progressiste e dichiaratamente di sinistra. Se è vero che le condizioni in cui vengono lasciati gli zingari nei loro insediamenti illegittimi, indipendentemente dalle responsabilità soggettive, e anche gli zingari ovviamente ne hanno non poche, sono la prova provata del fallimento delle politiche di integrazione previste e richieste dalle leggi europee.

La risposta non può essere razzista e xenofoba così come non può essere condizionata dal pregiudizio favorevole verso tutti i più deboli nella scala delle posizioni sociali. Perché vittime, insieme agli zingari sono anche i cittadini delle periferie, deboli fra i deboli, ai quali viene demandato il compito di sciogliere i nodi della integrazione. La diffusione della xenofobia, il risveglio del razzismo, è proprio nel clima degradato delle periferie che si alimentano finendo per esplodere. Ecco perché diceva l’ascoltatrice di “Prima Pagina” confortata dall’opinione di Stella, diventa indispensabile che lo Stato imponga con la sua fora legittimata dalle leggi un tasso minimo di legalità. Contro i comportamenti antisociali degli zingari, contro i comportamenti persecutori di razzisti, degli xenofobi… La manifestazione nella periferia di Roma di CasaPound ha impedito a molti piccoli zingari di andare a scuola.

Proprio la scuola che dovrebbe essere il primo strumento di integrazione… Favorendo così proprio il comportamento antisociale di quanti fra gli zingari si rifiutano di mandare a scuola i propri figli per avviarli alla mendicità, eccetera… Paradossi della cultura dell’odio, in cui il razzismo fascista si è storicamente distinto (non si possono dimenticare gli zingari inghiottiti dai campi nazisti), che trova nuova energia distruttiva nella incapacità dello Stato di imporre le sue leggi.
Post scriptum. Quest’articolo è stato scritto nell’imminenza dello sgombero di un campo nomadi in Sardegna, quello deciso dal sindaco di Alghero e dal Prefetto di Sassari, in località Arenosu alle porte di Fertilia… Non sarà facile. I campi nomadi sono illegali. I finanziamenti europei, anche rilevanti, infatti possono essere utilizzati dai comuni solamente per attuare politiche di integrazione. Dopo l’annosa latitanza, colpevole, dell’amministrazione comunale, riuscirà il nuovo sindaco di Alghero a trovare soluzioni che tengano insieme diritti e legalità, assistenza e integrazione, decoro e salute pubblica? Alla prossima puntata!
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