Sclerosi laterale amiotrofica: lo studio “Disruption by SaCas9 endonuclease of Herv-Kenv, a retroviral gene with oncogenic and neuropathogenic potential, inhibits molecules involved in cancer and amyotrophic lateral sclerosis” dell´Università di Sassari contribuisce a far luce sull´origine della malattia
SASSARI - Un gruppo di ricerca dell'Università degli studi di Sassari ha firmato uno studio che contribuisce a far luce sulla genesi della sclerosi laterale amiotrofica, intitolato “Disruption by SaCas9 endonuclease of Herv-Kenv, a retroviral gene with oncogenic and neuropathogenic potential, inhibits molecules involved in cancer and amyotrophic lateral sclerosis”. La ricerca, realizzata da Gabriele Ibba, Claudia Piu, Elena Uleri, Caterina Serra ed Antonina Dolei, è stata pubblicata sulla rivista scientifica internazionale “Viruses”.
«Abbiamo messo a punto delle specifiche “forbici molecolari” Crispr/SaCas9, mediante le quali siamo riusciti ad eliminare dal dna di cellule umane il gene retrovirale endogeno Herv-Kenv, sospettato di contribuire al tumore della prostata e alla neurodegenerazione della Sclerosi laterale amiotrofica (Sla)», spiega il ricercatore Ibba. La distruzione del gene Herv-Kenv (la prima di un retrovirus endogeno umano) interferisce con importanti regolatori dell’espressione e della crescita cellulare, tra cui la proteina Tdp-43, che ha un ruolo chiave nella neurodegenerazione della Sla.
«Questo nuovo risultato suggerisce che il retrovirus endogeno Herv-K non sia un innocuo spettatore, ma che ci sono legami non solo tra Herv-K e l’oncogenesi, ma anche tra Herv-K e la Sla, dato che l’aumento di sole due volte di Tdp-43 può causare neurodegenrazione», prosegue Dolei, professoressa di Virologia nel Dipartimento di Scienze biomediche dell'Università di Sassari. «In pratica, se ci fosse un contributo di Herv-Kenv alla patogenesi della Sla, si aprirebbe la prospettiva di considerare la Sla non come una malattie incurabile, ma come una patologia che coinvolge un retrovirus, contro il quale è possibile utilizzare terapie farmacologiche», conclude Dolei.
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