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A.B. 26 ottobre 2016
Conoci, Lubrano, Di Gangi e Salaris dicono no
Nasce un nuovo comitato referendario ad alghero. Racchiude un fronte abbastanza omogeneo di esponenti politici riconducibili all´area di Centrodestra


ALGHERO - Il comitato “Alghero dice No”, presentato questa mattina (mercoledì) nella Sala rossa del municipio, nasce dall’impegno un gruppo di cittadine e cittadini algheresi che vogliono sostenere e diffondere le ragioni del “No” al referendum Costituzionale di domenica 4 dicembre. «Sono diverse le ragioni condivise che ci hanno spinto a costituire questo comitato civico per il No. Siamo certi che partendo da ciascuna comunità locale si possa vincere questa battaglia di verità e di libertà, soprattutto nell’interesse dei sardi e della Sardegna», hanno dichiarato all'unisono Mario Conoci, Monica Pulina, Maria Grazia Salaris, Marco Di Gangi, Stefano Lubrano e Maurizio Papa, in difesa di quella che hanno definito «la Costituzione di tutti».

Tutti insieme contro «una riforma approvata con il colpo di mano di una finta maggioranza che stravolge il nostro ordinamento e genera una marcata contrapposizione. Una finta maggioranza, guidata da un premier non espresso dai cittadini, i cui unici punti di forza sono gli slogan demagogici e privi di sostanza dei suoi sostenitori. Una riforma pasticciata, che sconvolge radicalmente gli equilibri ed alcuni dei principi cardine del nostro ordinamento, definendo un sistema di “premierato assoluto”, che potrebbe vedere un uomo solo al comando, senza gli adeguati contrappesi e porta al superamento della democrazia parlamentare. Ma oltre a tutte queste aberrazioni, ci sono ragioni tutte sarde, tutte locali, che impongono di dire No alla riforma della Costituzione voluta da Renzi».

Per il Comitato, «al di là degli aspetti demagogici utilizzati da Renzi come carta colorata per incartare un pacco che riserva invece solo brutte sorprese», la riforma avrebbe un obiettivo fondamentale: «accentrare più potere possibile nelle mani del governo centrale sottraendolo alle assemblee elettive e soprattutto alle già debolissime autonomie locali e quindi, nel nostro caso, alla Sardegna. Il Governo, seguendo anche le influenze dei grandi poteri finanziari e politici, ha bisogno di decidere mettendo da parte le garanzie democratiche e soprattutto la sovranità popolare. Insomma il volere e il voto popolare, ovvero i valori più alti e rappresentativi della democrazia, diventano un fastidioso impiccio per chi deve manovrare e decidere. Lo stesso principio della Democrazia parlamentare viene messo all’angolo, ridimensionando così, ulteriormente, la già ridotta influenza del corpo elettorale».

Secondo Alghero dice No, in un sistema così riformato, la Sardegna, «regione geograficamente emarginata ed economicamente e demograficamente debole, sarebbe in balia di decisioni che verrebbero assunte tutte sopra la testa dei Sardi e certamente non nel nostro interesse. Le regioni a Statuto speciale sono fatte salve dalla riforma, è il mantra che viene ripetuto per tranquillizzarci. In realtà la Sardegna e le altre autonomie speciali sarebbero, dopo il voto, adeguate al risultato referendario con due motivazioni che appaiono tuttavia evidenti. La prima è che demolire adesso le regioni a Statuto speciale avrebbe voluto dire per Renzi perdere il consenso di molti milioni di cittadini, in modo particolare i milioni di voti siciliani, cosa non conveniente in questa fase. La seconda è che, una volta incassato il voto favorevole alla riforma, sarebbe facile e soprattutto logico, con la forza dell'avallo popolare, eliminare le specialità regionali che già oggi vedono ostilità diffuse e maggioritarie non solo nel Governo».

Il Comitato ha illustrato uno scenario con la rappresentatività dei parlamenti indebilita e la crescita smisurata del potere esecutivo del Governo e, soprattutto con l'applicazione della clausola di supremazia, «esercitata nel nome di un non meglio precisato superiore interesse nazionale, sarebbe facile e soprattutto conveniente ad esempio consentire ricerche petrolifere nei nostri mari o sulla terraferma; imporre in modo indiscriminato la realizzazione di centrali eoliche o solari sul nostro territorio; sarebbe altrettanto semplice imporre nuove regole sulle entrate fiscali con la giustificazione della necessità di uniformarsi alle altre regioni; così come sarebbe ancora più determinata la volontà di mantenere nella nostra Isola le infinite servitù militari che già oggi ci sottraggono enormi e pregiatissime porzioni del nostro territorio. Ma l'esempio più semplice, e anche più drammaticamente realistico, è quello della scelta della Sardegna per il deposito nazionale delle scorie nucleari. Quale posto migliore di una terra isolata, lontana dalla Penisola e scarsamente abitata per essere scelta quale discarica nucleare d'Italia? Per il Governo, qualunque Governo italiano, sarebbe la cosa più semplice. Meglio sacrificare un milione e 600mila sardi, disarmati della loro autonomia, piuttosto che inimicarsi 60milioni di italiani residenti nella Penisola. Semplice, ma le spiegazioni semplici sono sempre quelle che fanno più paura a chi governa, perché tutti le possono capire. Una Sardegna privata della sua autonomia sarebbe semplicemente oggetto di scelte assunte lontano e quindi lontane dagli interessi dei sardi. Per questi motivi – hanno concluso - scegliere il no al referendum su una riforma che scippa sovranità al popolo e autonomia alle regioni significa soprattutto e in primo luogo mantenere la libertà di scegliere, ovvero proprio quella libertà che questa scellerata riforma cerca di sottrarci».

Nella foto: un momento dell'incontro


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