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A.B. 30 luglio 2016
Guerra del grano: nasce la pizza Io sono sarda
Ieri mattina, nella sede di Coldiretti Sardegna a Cagliari, si è svolta la presentazione dell’accordo tra Coldiretti, Confcommercio e Confesercenti per la promozione e la vendita nelle pizzerie e nei ristoranti sardi della pizza e la pasta sarda al 100percento. Inoltre, è stato presentato il logo della pizza Io sono sarda, dal campo al forno


CAGLIARI - Il comparto cerealicolo sardo è in forte crisi a causa del ribasso dei prezzi alla produzione. Rispetto allo scorso anno, il grano agli agricoltori viene pagato il 30percento in meno: il prezzo quest’anno è sceso a 20euro a quintale rispetto ai 30 dello scorso anno. Prezzo che non paga i costi di produzione e che sta portando molti cerealicoltori alla estrema decisione di abbandonare il campo in tutti i sensi. Per molti è stata un’annata disastrosa e hanno addirittura dovuto rinunciato alla raccolta, anche perché oltre al crollo del prezzo si è sommata una produzione sotto le aspettative a causa della siccità: in media si è prodotto il 40percento del grano in meno, con punte del 60percento. La crisi è reale ed è fotografata dai numeri. Negli ultimi dodici anni, la superficie destinata alla coltivazione del grano è scesa del 60percento, perdendo 58129ettari. Si è passati dai 96710ettari coltivati nel 2004 ai 38581 del 2015 (fonte Laore).

Ma non potrebbe essere altrimenti, visto che il prezzo è fermo da quarant’anni. Nel 1976, un contadino per un quintale di grano riceveva più di quanto non riceva oggi: 48mila lire, rispetto ai 20euro di quest’anno. A fermarsi è stato solo il prezzo del grano, mentre tutti gli altri costi di produzione sono cresciuti a dismisura. Un esempio su tutti: il concime, nel 1976 costava 5mila lire, oggi 48euro. Una crisi che tocca tutta la Sardegna, ma più da vicino il mondo agricolo del sud Sardegna dove si coltiva quasi i due terzi della superficie destinata al grano. 14102 tra la provincia di Cagliari, Medio Campidano e Sulcis: 12545ettari Cagliari; 9985 Medio Campidano; 1949 Sulcis. Segue Sassari con 6420ettari, Oristano con 5465, Nuoro con 1450, Ogliastra con 618 e, infine, la Gallura con 149. Il peggior nemico delle produzioni locali arriva dalla concorrenza sleale delle importazioni, che sono di grano, ma sempre di più anche di semilavorati (la pasta congelata pronta a lievitare). Nel primo semestre del 2016, le importazioni, in Italia, sono aumentate del 14percento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Viene importato grano del quale si conosce poco della provenienza e dei metodi di produzione (arriva principalmente dal Canada, Stati Uniti ed est Europa). Spesso si tratta di grano vecchio di oltre quattro anni, sul quale non vengono effettuate delle analisi.

Nei giorni scorsi, la Guardia Forestale di Bari ha rilevato nel grano proveniente da Regno Unito, Canada e Panama, la presenza di aflatossine, tra le sostanze più cancerogene esistenti. Un recente sequestro della Guardia di Finanza ha rilevato che il grano viaggiava in camion contaminati da rifiuti tossici. Molto del grano importato è stato trattato con il glifosato. Si tratta del diserbante più usato (soprattutto negli Stati Uniti ed in Canada). E’ un dissecante, che viene irrorato nei campi poche settimane prima del raccolto, soprattutto nelle zone umide, per accelerare la mietitura. Inoltre, la lunga conservazione ed i lunghi viaggi alterano il grano. In Italia si importano 4,5milioni di tonnellate di grano. Un quarto dall’est Europa. Ed è da questa parte di Europa (4milioni di chilogrammi dalla Romania) che arrivano soprattutto i semilavorati congelati. Questi sono a lunga scadenza (due anni) e consentono un ingente risparmio di denari (il 60percento) grazie al basso costo della mano d'opera. Un panino su quattro venduto nella grande distribuzione è prodotto con i semilavorati surgelati, spesso vecchi due anni.

Prodotti dei quali non abbiamo garanzie sul rispetto delle più elementari norme igienico sanitarie. Questo fa si che il grano italiano, garantito e certificato, di stagione e privo di glifosato (siamo il Paese in cui i limiti alle sostanze contaminanti sono più alti che nella maggior parte del mondo), venga prodotto sempre di meno, perché sta diventando fuori mercato, per via dei costi di produzione che garantiscono il consumatore e l’ambiente. Da una recente analisi della Coldiretti, risulta che trent'anni fa, nel 1985, in Italia il grano veniva pagato 23centesimi a quintale, il pane 52centesimi al chilogrammo. Oggi il primo costa meno, 18, mentre il prezzo del pane e quintuplicato. Nel passaggio dal campo alla pasta, il prezzo aumenta di circa il 500percento, mentre dal grano al pane addirittura del 1400percento.


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